Di recente è stato calcolato che il Servizio sanitario italiano, dal 2025 /in avanti, necessita di 210 miliardi di euro, a fronte degli attuali 130. Si prevede per il 2050 una crescita della spesa sanitaria pubblica intorno ai 280 miliardi di euro. Il fabbisogno sanitario è destinato a crescere anche per l’elevato costo dei farmaci e diagnostica tecnologica. Le persone affette da malattie cronico- degenerative, da postumi di affezioni oncologiche e da trapianti, da insufficienze organiche, da sindromi neurologiche- demenziali etc., fanno riflettere sull’idoneità dell’attuale sistema socio-sanitario. Quasi il 70% dei farmaci si usa sopra i 65 anni e, in questo gruppo, i ricoveri ospedalieri sono circa il 45%. Da sottolineare che l’assistenza a un malato di cancro costa sui 41 mila euro l’anno; con l’ultima generazione di farmaci (Immunoterapia-Car-T) dai 100mila euro fino a 300 mila. Non è più realistico parlare di universalismo nel mentre il Servizio sanitario pubblico copre solo una parte (circa il 70%) della spesa sanitaria totale e la restante viene addebitata al cittadino-utente. Esistono
4 vari modelli di welfare socio-sanitario:
1) Modello residuale: le prestazioni, finanziate per via fiscale, vengono concesse soltanto ai più poveri. I diritti sociali scaturiscono dallo stato di bisogno che deve essere dimostrato;
2) Modello aziendale-occupazionale (conservatore-corporativo): le prestazioni sono diverse in rapporto al tipo di lavoro dei beneficiari; contributi sono versati sia dai lavoratori che dal datore di lavoro con possibile integrazione di sussidi statali. I diritti e le prestazioni sono in rapporto alla professione esercitata.
3) Modello universalistico istituzionale- redistributivo: le prestazioni sono elargite a tutti i cittadini per mezzo di vasti programmi pubblici, e non subordinate ai loro redditi ma finanziati attraverso la fiscalità generale. I servizi son offerti a tutta la popolazione senza nessuna distinzione;
4) Modello universalistico selettivo: le prestazioni vengono concesse sempre a tutti i cittadini ma erogando i servizi e benefici tenendo conto del reddito di ognuno.
È il momento di prendere in considerazione
le potenzialità di un welfare ad universalismo selettivo: trattasi di un parametro già proposto per i trasferimenti economici (assegni sociali, familiari) e per forme di sostegno allo studio, selezionando le prestazioni da devolvere;
da qui l’indicatore (Isee). Bisogna modificare una percezione del settore socio-sanitario governata da un universalismo indifferenziato attraverso una revisione e selezione delle prestazioni (onerose e meno onerose):
le prime, gravose, a carico dello Stato,
mentre le seconde a cura di assicurazioni/ mutue integrative. Un principio guida al
fine di garantire la sostenibilità del welfare sociosanitario ed evitare provvedimenti
di razionamento delle prestazioni è quello dell’universalismo selettivo, che sancisce
il principio della parità dei cittadini nell’accesso alle risorse e, allo stesso tempo,
pone i presupposti per la sostenibilità finanziaria. Diventa essenziale operare una distinzione tra prestazioni redistributivo/ assistenziali cui la persona ha diritto in quanto membro della società, e prestazioni assicurative, a cui si accede attraverso
il lavoro e le contribuzioni individuali o canalizzate dalla bilateralità. Un modello che prevede il superamento tra pubblico e privato, attraverso il ridimensionamento
dell’attore pubblico, a favore di un sistema multipilastro, con sviluppo di un pilastro privato a capitalizzazione reale: a questi può associarsi “l’universalismo selettivo”, misura che introduce -appunto- la compartecipazione alle spese e la tariffazione delle prestazioni graduale, in funzione delle condizioni economiche e socio-sanitarie dei richiedenti
e della natura delle prestazioni richieste. Purtroppo, i vincoli finanziari congiunti al debito pubblico non consentono una ennesima dilatazione del welfare state pubblico. Di sicuro esistono dei settori di sprechi con aree improduttive su cui è possibile intervenire, ma indubbiamente non possono costituire una cassa di finanziamento sufficiente a riparare
il nostro squilibrio di risorse esistenti. L’Italia non è riuscita a rivedere gli scompensi di un sistema socio-sanitario e assistenziale
di tipo universalistico, nonostante varie riforme, controriforme, e politiche rigorose degli anni Novanta. Non hanno avuto effetto alcune iniziative legislative (Le cosiddette 3 macroriforme: 1992,1993,1999) approvate
in questa prospettiva: l’aziendalizzazione delle Asl e degli ospedali, etc… Si sta consolidando una logica trasversale che vede il mercato quale via d’uscita per risolvere le problematiche dei sistemi socio-sanitari: sul welfare state, essa sostiene l’esigenza di transitare verso un sistema misto tra Stato, mercato e terzo settore. Il terzo settore valorizza la dimensione sussidiaria e sociale: ad es. il volontariato. Oggi il nuovo welfare dovrebbe accogliere più attori: confindustria, associazioni imprenditoriali e commerciali private, assicurazioni, categorie professionali, sindacati confederali e autonomi, enti e istituzioni pubbliche, fondazioni bancarie e filantropiche di comunità etc. Il nuovo welfare dovrebbe avere un ruolo straordinario nei confronti del welfare tradizionale; una struttura socio-sanitaria a più gambe, in parte pubblica e in parte privata favorendo il progressivo spostamento di quote di finanziamento dalla prima alla seconda.
Giovanni Savignano