Triste dicembre, tra guerre e assassinii di Nicola Prebenna

   La matassa in questi ultimi giorni va complicandosi. Non bastava la guerra in Ucraina, lo scontro tra palestinesi di Hamas e Israele, senza contare le tante inquietudini che serpeggiano un po’ dovunque nel mondo. Ci ritroviamo con un altro focolaio, sempre in Medio Oriente, nella Siria già devastata pure essa da una guerra, forse non ancora terminata. Tutto ciò contribuisce a rendere poco rosee le aspettative per un futuro più tranquillo.
   Alle turbolenze del mondo si aggiungono le tristi notizie di casa nostra. Una notizia attesa, ma non accettata con serenità dalla gente comune, è la sentenza nel processo all’assassino della sventurata Giulia Cecchettin. Filippo Turetta, come era prevedibile, è stato condannato all’ergastolo. La condanna, però, come esplicitata nella sentenza, alimenta il sospetto tra la gente comune che la corte abbia voluto essere clemente.
   Non ha ritenuto di prendere in considerazione sia lo stalking che la crudeltà. I fatti, almeno ai profani, sembrano chiari. 75 coltellate, una serie interminabile di messaggi intimidatori, minacciosi, con allusioni anche a propositi di scelte violente, pare che non abbiano indotto la corte né a considerare la crudeltà né lo stalking.
   Certo, la sventurata Giulia non torna in vita, non è che una più severa condanna di Turetta modifichi la realtà. Pare che si sia preferito delineare un percorso che potrebbe un domani condurre ad uno sconto di pena. Giusto che il condannato sia rieducato e reinserito nella società, ma ciò deve anche essere una conquista personale, di maturazione e consapevolezza del delitto commesso, del desiderio di riscatto, non di un dono non richiesto e generosamente offerto.
   Ma sono tanti gli assassinii, gli omicidi che si susseguono senza posa, e tante le famiglie che piangono mogli, madri, amanti vittime di menti malate, come la povera Tramontano. Anche lei  ugualmente assassinata insieme al piccolo che aveva in grembo e che si approssimava alla nascita. Ma sono veramente tante le donne ammazzate.
   E come spesso accade, tutti a richiedere che sia la scuola a farsi carico dell’educazione. Giusto richiamare la scuola alla sua funzione primaria, di educare e formare, oltre ad insegnare, ma occorre evitare di dire o proporre cose stonate. Non è una disciplina in più, come lo stesso papà di Giulia pare suggerisca, da aggiungersi alle già tante discipline a cui la scuola deve far fronte, che determini un’inversione di tendenza. E’ e deve essere cura e responsabilità dei singoli docenti, nel quadro delle discipline di competenza e dell’educazione civica. Come deve essere compito di tutta la comunità educante farsi promotori, custodi, di rapporti corretti e rispettosi nei confronti di tutti e soprattutto delle donne. E’ fondamentale intervenire con autorevolezza se e quando qualcuno si lascia andare a comportamenti poco rispettosi della dignità e della libertà degli altri, delle donne soprattutto.
   E solo la scuola non basta. Siamo tutti, ciascuno nel proprio ambiente di lavoro, di vita, che dobbiamo vigilare a che la vita della comunità scorra tenendo lontano ogni sorta di violenza che, degenerando, può portare alla morte. E siamo tutti chiamati a fare la nostra parte.