Francesco Caloia presenta il suo volume su Giovanni Balducci, detto il Cosci a Napoli

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Domenica 20 Ottobre alle ore 11,00, a Napoli nella chiesa della Graziella, luogo di
promozione artistica e cultura musicale, Francesco Caloia presenta il suo volume su
Giovanni Balducci, detto il Cosci, “un manierista dimenticato dalla storia tra Firenze,
Roma e Napoli”. Francesco Caloia, artista, scrittore, già dirigente scolastico, da anni
impegnato in un percorso di ricerca e valorizzazione del patrimonio storico-artistico
dell’Irpinia, con il volume stampato dalla “GESUALDO Edizioni” restituisce piena
dignità ad un artista per troppo tempo messo da parte, escluso dalla narrazione
canonica dei movimenti artistici dell’epoca, passando in rassegna le molteplici
influenze che caratterizzeranno la sua produzione.

Leonarda Bongo sottolinea nella prefazione la ricostruzione attenta da parte dell’autore del contesto storico in cui si forma Balducci con l’instancabile ricerca di documenti e fonti di ogni genere per ripercorrere le vicende personali e le opere dell’artista. Colpiscono la scrupolosa
ricerca di fonti storiche e la capacità di Caloia di riscoprire opere dimenticate di
Balducci, a conferma della passione per l’arte che guida da anni l’autore
nell’impegno di storico e critico d’arte. Ad emergere il ritratto di un’intera epoca e di
una costellazione di artisti, in molti casi poco conosciuti, che hanno contribuito alla
divulgazione dell’arte tra manierismo e barocco, in particolare nell’Italia
meridionale. L’autore, scrive Bongo, descrive il momento in cui opera l’artista “come
il momento di passaggio tra la grande stagione del Rinascimento e quella del
Barocco, appoggiata dalla Chiesa controriformata. Intende il manierismo non solo
come espressione della crisi dei valori della società postrinascimentale ma
fondamentalmente come testimonianza dell’individualismo manieristico in arte, che
prelude sotto molti aspetti all’arte del Novecento, l’inizio del modo moderno di
essere artisti nella libertà di espressione e invenzione”.

Un itinerario che sorprende per ricchezza e varietà, dagli affreschi del chiostro del Carmine Maggiore a Napoli alle opere eseguite nei piccoli centri meridionali, da Velletri a Maddaloni e Bitonto, lontano dalla grande regia degli artisti manieristi o barocchi. Fino all’ipotesi che
abbia realizzato il primo tipo iconografico di angelo custode, conservato nella
Pinacoteca dei Girolamini a Napoli. Caloia evidenzia come Balducci “pur aderendo ai
dettami della Controriforma Cattolica, seppe mediare tra regole e novità, tra
compostezza e nuovi colori, tra capacità empatica di esprimere affetti,
corrispondenze di amorosi sensi e la modernità: La sua permanenza a Napoli fu
fondamentale per l’arricchimento del contesto culturale del Meridione”.
Monsignor Tarcisio Gambalonga definisce il volume “una tessera preziosa e
storicamente documentata per conoscere più a fondo il Balducci che ha lasciato
proprio nella nostra Irpinia testimonianze significative delle sue doti pittoriche,
prima fra tutte la grande tela conosciuta come il Perdono di Carlo Gesualdo”.
Sottolinea come “L’opera che a mio avviso sintetizza in maniera straordinaria la vita
zingaresca del Nostro è la fastosa tavola della Madonna del Rosario, conservata
nella chiesa del Rosario in Taurasi. Nell’opera vi sono echi evidenti degli influssi di
Giovan Battista Naldini, nella cui bottega Giovanni si era formato, ma anche della
esperienza romane, soprattutto nella accurata resa dei ritratti dei personaggi di Casa
Gesualdo, raffigurati in basso nell’opera. Invece, il suo animo di credente, plasmato
dalla religiosità controriformista, si coglie pienamente nella grande tela del Perdono.
Non è solo un dipinto ma un manifesto di richiesta di perdono per tutta l’umanità
peccatrice, nel quale l’artista ha saputo interpretare benissimo l’angoscia per il
timore della condanna eterna e di conseguenza l’ansia di perdono e di salvezza del
principe dei musici, Carlo Gesualdo”. E’ quindi lo stesso Caloia a spiegare come lo
studio nasca dall’impegno di ricerca dedicato alla figura del principe Carlo Gesualdo,
di qui l’interesse nei confronti dell’autore della Pala del Perdono raffigurante
l’illustre madrigalista, fino a scoprire una figura per secoli dimenticata, tanto da
ignorare i rapporti di Balducci con la produzione del tempo e “sottovalutando quella
figura di diffusore di elementi e modelli della cultura della fine ed inizio del nuovo
secolo alle generazioni successive, che egli ha comunque avuto come pittore di
opere sacre”. Caloia spiega come “Per i Gesualdo, nobile casato, feudatari del Regno
delle due Sicilie e nel vicereame spagnolo, il pittore dipinse varie opere ma per Carlo
Gesualdo, figura tra le più eccentriche della vita musicale del tempo, ne dipinse una
in particolare, conosciuta come Pala del perdono, che non è la solita pala d’altare
ma è una dinamica Sacra conversazione, vi è rappresentata la richiesta e la
concessione del perdono al Principe che assassinò la moglie Maria D’Avalos ed il suo
amante Fabrizio Carafa colti in flagranza di reato.

Il Balducci insomma fu un artista protagonista del suo tempo ma caduto nell’oblio, che attende di essere portato alla conoscenza dei più rivalutando le sue scelte di martirio e di gloria, di fede e di pathos, i suoi Cristi e le sue Madonne”. Mentre Michele Ciasullo ci ricorda nella postfazione che solo “una piena consapevolezza della nostra storia e della reale
natura dei nostri luoghi può metterci in condizione di negoziare uno sviluppo non
distruttivo del posto in cui viviamo”. Formatosi a bottega da Giovanni Battista
Naldini, a sua volta influenzato da Giorgio Vasari e dal tardo manierismo fiorentino,
collaborò con Federico Zuccari al completamento degli affreschi del Giudizio
Universale della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Si iscrisse all’Accademia
delle arti del disegno nel 1578. Nel 1577 e nel 1580 lavorò con il Naldini agli affreschi
nella Cappella Altoviti della Chiesa della Trinità dei Monti a Roma. Tornato a Firenze,
si unì al gruppo di artisti capeggiati da Alessandro Allori che decorarono i soffitti dei
corridoi all’ultimo piano degli Uffizi. Tra il 1581 e il 1584 è tra gli artefici della
decorazione del chiostro grande di Santa Maria Novella in Firenze con ben quattro
lunette: Nascita di Gesù, La lavanda dei piedi, la deposizione del corpo di San
Domenico nel sepolcro, Sant’Antonino entra a Firenze in veste di arcivescovo. Per le
nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena fu chiamato a creare apparati
e scenografie magnificenti. In particolare prestò la sua opera in Santa Maria del
Fiore, dove rimane un’Ultima Cena da lui dipinta. Lo stesso anno dipinse il
matrimonio mistico di Santa Caterina che si trova nella chiesa di Sant’Agostino a San
Gimignano. Per il cardinale Alessandro de’ Medici dipinse ad affresco quello che è
considerato il suo capolavoro, un ciclo di scene della Vita del Cristo nell’Oratorio dei
Pretoni, conosciuto anche come oratorio di Gesù Pellegrino, in Via San Gallo a
Firenze. Nella sua pittura convivono echi del classicismo quattrocentesco,
soprattutto nella resa dei volti, con i caratteri più schiettamente devozionali della
pittura sacra fiorentina di quel periodo, dominata dall’influenza di Santi di Tito. Con
il Naldini, lavorò alla decorazione del Duomo di Volterra, dipingendo il Miracolo dei
pani e dei pesci nella Cappella Serguidi. La Natività a Volterra è datata 1592. Al
periodo napoletano e alle sue influenze spagnoleggianti, risalgono numerose opere
tra cui molte nel Duomo di Napoli, alcune in Santa Maria alla Sanità, le Sette opere di
misericordia nella Misericordiella ai Vergini, in San Giovanni dei Fiorentini nella
pinacoteca dei Girolamini, a Capodimonte e in tante altre chiese della città.
Giovanni Balducci detto il Cosci morì a Napoli dopo il 1631 e fu sepolto
nelle Catacombe di San Gaudioso dove finora si può vedere il suo teschio
incastonato nel muro con un corpo in veste di artista dipinto al di sotto.