Sabato 25 maggio al Castello di Gesualdo “In flagrante delicto”

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Sabato 25 maggio al Castello di Gesualdo “In flagrante delicto” alle ore 21.00
Dispensa autentiche emozioni dello spirito. Rare e potenti. Umile officiante della parola, Marcello Prayer è scultore del verso, pittore del timbro, forgiatore sensibile di suoni fonetici, rivelatore di sonorità attinte dall’universo interiore, voce traghettante in luoghi “altri”, in epoche “altre”, in anime “altre”. Nell’appassionato “In flagrante delicto”, dal sottotitolo “il principe, la sposa, il musico e l’assassino”, affascinante opera sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa, l’attore pugliese, nel suo raccontare posizionando con incisiva espressività il corpo narrante sulle nude assi del palcoscenico – dove basta solo una sedia caduta e poi alzata e occupata quale “presenza” di un’assenza –, evoca mondi e personaggi lontani eppure così vicini, aprendoci alla visione, tangibile e invisibile al contempo, di ciò che sentiamo proferire.
Un “dire” che fonde gesti distillati e fisicità sapientemente vibrati per accordare il corpo nel tempo e nello spazio. Sguardi, braccia e mani in perenne tensione disegnano traiettorie temporali scrutando il buio e la penombra, la luce e il suo riverbero sulle pareti nude. Prayer va dentro il fantasma della voce del principe Gesualdo da Venosa, riportandolo vivo ai nostri occhi. In questo lavoro di ricostruzione e ricerca fra storia, mito e leggenda, la scrittura di Francesco Nicolini intorno alla figura del principe di Venosa, assassino per gelosia, indaga la verità storica per riproporla poeticamente in una sorta di scorrimento di fotogrammi visionari, fonetici e musicali, che ci immergono nel pensiero e nel sentimento del compositore grazie alla recitazione di Prayer, al sound-design di Alessandro Grego, alla regia sapiente di Roberto Aldorasi. Un concorso di eccellenti menti creative capaci di farsi corpo unico per condurci nell’animo tormentato del grande madrigalista, dentro la sua appassionante biografia dalla fosca tragedia coniugale, che portò lo smisurato disordine delle sue passioni nell’insaziata febbre cromatica della sua musica. Vita proseguita con propositi espiatori – per l’ossessione dei propri peccati e la ricerca del perdono divino – in un turbato isolamento nel feudo irpino di Venosa.
Questi furono anni punteggiati da malesseri psicofisici e fissazioni religiose, tra malattie e lutti, ultimo la morte del figlio ventenne Emanuele per una caduta da cavallo, alla cui notizia Carlo si lasciò lentamente morire dopo due mesi. Prayer, nello sfumare di una sovrapposizione di tonalità, e con lievi spostamenti, presta voce e corpo a più figure incarnando, oltre all’io narrante, ora l’uno ora l’altro personaggio. In questa testimonianza di osservatori determinanti della vita del principe, trovano posto la moglie Maria d’Avalos, lo zio Alfonso, l’amante Aurelia d’Errico, la guardarobiera Silvia Albano testimone dell’omicidio della sua padrona donna Maria, mentre la vox populi napoletana affolla l’etere proveniente da fonti diverse della sala con un effetto di avvolgente sonorità. Nella scarnificazione e assoluta semplicità della messinscena unico elemento che rompe il nero drammaturgico è il bianco collare ortopedico sul gozzo dell’attore. Rimanda a quello di pizzo dell’epoca, segno costante dell’incidente che lo ha accompagnato per tutta la vita. Lo toglierà nel finale quale liberazione interiore e fisica di un’esistenza in cui raffinatezza – della musica – e ferocia – delle passioni –, si sono nutrite e distrutte vicendevolmente.
Ingresso libero