L’umanità non ha mai conosciuto periodi di pacifica convivenza tra stati.
Solo, la pubblica opinione è colpita dai fatti più recenti, ora più drammatici, ora meno. Il presente è segnato da due eventi eccezionali, almeno per noi europei dell’occidente. Da un lato la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, e dall’altro la grave crisi internazionale scatenata dall’azione terroristica di Hamas contro i civili israeliani.
La madre delle turbolenze del presente sulla scena internazionale è rappresentata proprio dall’aggressione russa all’Ucraina. L’esempio putiniano ha fatto emergere in diverse realtà geopolitiche la convinzione che se si ricorre alla forza si vince, o almeno si hanno buone possibilità.
Può essere utile ricordare al presente la pulizia etnica praticata dall’Azerbagian nel Nagorno Karabak, da dove più di centomila armeni sono stati sloggiati. Le tensioni crescenti tra la Serbia e il Kosovo sono un altro momento di possibile conflitto nel cuore dei Balcani. Tralasciando il riferimento alla martoriata Siria, alle altre zone del pianeta dove sempre più spesso si ricorre alla minaccia militare, come nelle acque del Pacifico, l’attenzione e le tensioni del presente sono concentrate nello scontro tra Hamas e Israele.
La maggior parte degli osservatori internazionali, le persone di buon senso non hanno nessuna difficoltà a riconoscere la brutalità dell’attacco terroristico di Hamas a danno di civili israeliani, come a riconoscere il diritto di Israele alla difesa della propria esistenza.
Il problema è più complesso di quanto possa sembrare a prima vista. E parte da lontano. La risoluzione ONU del 1947 che istituiva i due stati, uno israeliano l’altro palestinese, andava nella direzione giusta. Il clima da guerra fredda, il rifiuto dei paesi arabi della risoluzione ONU furono all’origine di guerre che si sono ripetute nel corso degli anni, senza arrivare a nessuna soluzione definitiva.
E passi coraggiosi ne sono stati fatti, da una parte e dall’altra. Il presidente egiziano Sadat pagò con la vita la scelta coraggiosa di avviare rapporti positivi con Israele. Altrettanto accadde al premier israeliano Rabin che, dopo aver ottenuto insieme ad Arafat il Premio Nobel per la pace, finì vittima degli estremisti israeliani. Ciò a testimoniare la delicatezza della questione che al momento non lascia presagire nulla di buono.
Un dato è certo ed è la strada maestra: pervenire alla creazione dello stato palestinese, così che si attui, dopo molti decenni, quel che fu l’idea originaria dell’ONU. Rimane il problema non facile della individuazione del territorio su cui dovrà insistere lo stato palestinese, ma questa è una questione di non immediata soluzione.
Su questi argomenti potremo tornare prossimamente. Al momento possiamo solo auspicare che la ragione prevalga sullo spirito di vendetta, che l’odio si attutisca, che il rispetto della vita umana, sia quella degli ostaggi israeliani che quella della popolazione civile di Gaza, sia il faro che orienti le scelte e i comportamenti di entrambi i belligeranti
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