Due recentissimi fatti attestano il profondo significato dei simboli. Il primo è dato dall’immediato, tempestivo intervento del sindaco di Firenze Nardella a interrompere la profanazione di Palazzo Vecchio. Il secondo è l’incriminazione di Putin per crimini di guerra per aver deportato bambini e adolescenti ucraini in Russia.
Procediamo con ordine. Rispetto alla profanazione del simbolo storico di Firenze, il tempestivo intervento del sindaco e delle forze dell’ordine presenti attesta il grande valore che la civiltà riconosce al museo civico aperto, proprio come stava illustrando il sindaco Nardella. L’azione scriteriata e frutto di fanatica infatuazione pseudo-ecologica di un povero illuso è stata immediatamente bloccata ed ha fatto riemergere la grande forza dei simboli condivisa da cittadini e turisti.
Rispetto al secondo caso, anche l’incriminazione per crimini di guerra del presidente Putin, riveste un grande valore simbolico, e non solo. Certamente, per Putin, per la nomenklatura russa, l’incriminazione del tribunale internazionale non significa molto, almeno apparentemente, quasi nulla. Quali conseguenze sono da prevedere per l’immediato? Probabilmente nessuna. Da un anno e più Putin ci ha abituati a ritenere carta straccia tutte le dichiarazioni universali degli organismi internazionali, tutti gli accordi sottoscritti a livello internazionale. Non c’è nessuna visione etica che salvaguardi strutture civili, scuole, ospedali, orfanotrofi e finanche strutture religiose, lo zar continuerà a dormire sonni tranquilli.
E’ però un segnale forte che la comunità internazionale, quella che segue senza accondiscendenza servile i diktat putiniani, abbia inteso cominciare a chiamare i fatti con il loro nome. La deportazione di bambini e adolescenti, sradicati dai loro contesti e dalle loro famiglie, non è un atto di generosità ospitale che organizza gite scolastiche per giovani curiosi del mondo. E’ un’operazione pianificata di deculturalizzazione sistematica, e di rieducazione, nell’accezione ex-sovietica e russa, per portare a compimento il piano di aggressione, presto divenuto vera e propria guerra, nei confronti di un paese che desidera esercitare in pace la propria libertà.
In altri termini, la deportazione di bambini e adolescenti, di cui si ignora la consistenza numerica, ma che dovrebbe a grandi linee e probabilmente per difetto, superare le diecimila unità, è il segno di una politica di pratica della disidentitàattuata per sostituire i valori della tradizione nazionale con quelli di tutt’altra identità imposta con la coercizione camuffata. L’auspicio è che almeno il grande significato dei simboli e l’amore per loro non venga meno ma si corrobori sempre più.
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