Dall’inferno di Terezin a Grottaminarda, i disegni dei bambini della Shoah

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Dall’inferno di Terezin a Grottaminarda, i disegni dei bambini della Shoah

Chissà come si trovano, nella piccola biblioteca della cittadina ufitana. Provenienti da quella di Parma. Ma è una piccola, grande,  testimonianza dell’orrore di quegli anni, della guerra e di una storia che non si dovrà ripetere mai più. E mai si dovrà dimenticare. Una storia che coinvolge millecinquecento bambini, nel ghetto di Terezin, città della Cecoslovacchia, durante l’occupazione nazista.  Peter era uno dei bambini che hanno lasciato quei disegni, fatti con pietre appuntite e carbone, su pezzi di carta, quando non svolgevano, insieme agli altri ebrei del ghetto, per tutto il giorno lavori pesanti  prima di essere deportati al campo di concentramento di Oswiecim, città polacca conosciuta tragicamente come Auschwitz Birchenau. In attesa di una ciotola d’acqua o di un pezzo di pane. Ma, quei bambini, trovavano il tempo per vivere la loro infanzia e lasciare, forse inconsciamente, una testimonianza alle generazioni future: case sghembe, distrutte dai bombardamenti,  strade interrotte, gente che si rincorreva sotto il cielo di Terezin. Di quei bambini sopravvissuto in cento. Ma tra loronon c’erano Peter e Iry, autori della maggior parte di quei disegni giunti alla biblioteca. Era il 1942 e a Terezin, come nel resto dell’Europa occupata dai nazisti, regnava il terrore. Gli ebrei di quella città cecoslovacca lavoravano dieci ore al giorno. Anche i bambini. E tutti subivano torture quando non erano costretti ad affrontare malattie o a morire di stenti. Per tutti la meta finale era il campo di concentramento di Oswiecim. Portati da lunghi convogli, dove erano stipati, e senza più la speranza di poter disegnare. Peter, però,  aveva capito cosa stesse accadendo e uno di quei millecinquecento bambini aveva lasciato scritto, a margine di un disegno:” Prigionieri noi moriamo, la collera e l’odio ci ha precluso il mondo”. Non hanno avuto la possibilità di crescere, Peter e i suoi amici che, quella canzone, cantavano in coro. Quasi sperando che qualcuno, li potesse, da lontano sentire. Senza sapere che, dietro quei filispinati, c’era solo indifferenza. Quella conservata nella biblioteca di Grottaminarda è una grande storia che appartiene all’umanità: l’olocausto visto con gli occhi dei bambini. Che, cantando quella canzoncina, andavano incontro alla morte.

Giancarlo Vitale