Cent’anni fa veniva assegnato il Nobel per la fisica ad Albert Einstein di Michele Zarrella

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Nel 1921, fu assegnato il premio Nobel per la fisica ad Albert Einstein. Tutti penseremmo: «Certo colui che ha formulato la teoria più bella del mondo, la relatività, non vuoi che abbia avuto il premio Nobel!» Errore. Einstein non ebbe il premio per la teoria della relatività, ma: “per i suoi servizi alla Fisica Teorica, e in particolare per la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico”.

Nel 1919 Einstein era diventato una celebrità mondiale. Infatti in quell’anno furono pubblicate le osservazioni di Sir Arthur Eddington fatte durante l’eclissi di Sole del maggio 1919 che confermavano effettivamente la deflessione gravitazionale della luce delle stelle in quanto si potettero vedere le stelle che si trovavano nel momento dell’eclissi “dietro” al Sole. Ciononostante la teoria della relatività incontrava resistenze ad essere accettata in tutta la comunità scientifica e anche nel comitato che assegnava il premio Nobel. Infatti il suo componente, il professore di oftalmologia Allvar Gullstrand, a cui fu affidato il compito di valutare la relatività, presentò un rapporto molto critico, ma similmente poco competente. Le resistenze erano dovute soprattutto all’assenza di scienziati in grado di valutarne la validità, alla mancanza di alcune verifiche, e ai concetti davvero rivoluzionari che stravolgevano il senso comune. Ancora oggi parlare, in una garbata chiacchierata di società o con quattro amici davanti al bar, che il tempo al mare rallenta rispetto a quello in montagna dove è più veloce, oppure che lo spazio è elastico: si torce, si allunga o si accorcia, che uno stesso evento visto da due osservatori con distanza diversa non è simultaneo si rischia di essere tacciato di allucinazione, come pare che fece Benedetto Croce quando andò, nel 1921, ad ascoltare Einstein a Bologna.

L’effetto fotoelettrico, anch’esso rivoluzionario come la teoria della relatività, aveva avuto tante conferme ed era più facilmente comprensibile. L’articolo pubblicato da Einstein, nel 1905, sull’effetto fotoelettrico spiegava il fenomeno che alcuni metalli colpiti dalla luce emettono elettroni. I fisici del tempo, basandosi sulla fisica classica che considerava la luce come un’onda, non riuscivano a spiegare tale fenomeno. Ci volle l’intuizione di Einstein per spiegarlo. Infatti, riprendendo il concetto dei quanti di energia ipotizzato da Max Planck nel 1900, egli propose che la luce avesse una duplice natura e che fosse formata da quanti di luce, cioè piccolissime particelle che oggi chiamiamo fotoni. Quando i fotoni colpiscono gli atomi dei metalli fanno schizzare gli elettroni, come succede a due biglie di biliardo quando una colpisce l’altra. Einstein dimostrò che aumentando l’intensità della luce aumentano gli scontri e quindi gli elettroni che schizzano; e che aumentando la frequenza della luce aumenta la velocità degli elettroni che schizzano. Nella metafora del biliardo l’aumento della frequenza equivale alla biglia che colpisce con maggiore energia e quindi la biglia colpita, cioè l’elettrone, acquista maggior velocità. Pertanto l’energia dei fotoni è direttamente proporzionale alla frequenza.

La straordinaria intuizione e le conseguenti formule di Einstein furono provate sperimentalmente nel 1914 da Robert Millikan che nel 1923 ricevette il premio Nobel per la fisica proprio per i suoi studi sugli elettroni. L’effetto fotoelettrico è utilizzato in un lunga serie di applicazioni pratiche come per esempio i pannelli fotovoltaici che ci danno energia pulita trasformando la luce del Sole in energia elettrica. Oggi pensare che materia ed energia siano la stessa cosa (E = mc2), che i corpi hanno una duplice natura: onda-particella sono concetti acquisiti, ma nel 1905 era un’intuizione che stravolgeva il senso comune. Su questo concetto di dualità onda-particella è nata la fisica quantistica con la quale i fisici spiegano il mondo. Insomma fu un risultato sicuramente degno di un premio Nobel.

Ing. Michele Zarrella