Campania: i sindacati della Polizia Penitenziaria annunciano lo stato d’agitazione contro il mancato vaccino

A seguito di una riunione, riguardo la gestione dell’emergenza causata dal Covid, che si é avuta stamani tra il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria Campana ed i sindacati, il risultato, secondo quest’ultimi, é stato insoddisfacente. La nota giunta alla stampa è a firma del SINAPPE, OSAPP, UIL PA PP, USPP, FNS CISL, CNPP E CGIL. I motivi sono diversi, tra cui “mancato rispetto dei protocolli sanitari Covid 19 a tutti i livelli gestionali e sottovalutazione dei rischi da contagio sui luoghi di lavoro e mancato avvio del piano vaccinale, nonostante la Campania abbia tra il più alto indice di mortalità tra il personale di Polizia Penitenziaria rispetto al dato nazionale”. E’ di ieri la notizia del terzo decesso, in pochi giorni, tra le file dei baschi blu in servizio presso il carcere di Carinola. Decessi che hanno avuto poco risalto a livello nazionale ma che, sicuramente, sarebbero stati trattati con più clamore se fossero avvenuti tra detenuti. L’onda emotiva, nata da un post pubblicato su un social da parte della vedova di un ispettore morto proprio a Carinola, forse ha avuto il potere di smuovere almeno la coscienza di qualcuno (post che potete leggere, per intero, alla fine dell’articolo N.d.A.). Allo stato attuale, in molte regione il vaccino é stato già somministrato ai poliziotti penitenziari, mentre in Campania, stranamente, nulla é stato ancora organizzato se non una richiesta di adesione, non vincolante, a cui il personale é stato chiamato ad esprimersi.  I sindacati, infine, “denunciano lo stato di abbandono in cui versano i poliziotti penitenziari e i gravi rischi per la salute e conseguente collasso del sistema sicurezza e diffidano l’Amministrazione Penitenziaria a trovare una soluzione rapida alle suddette problematiche”.

Mi chiamo Barbara e da oggi sul mio stato civile troverò sempre la dicitura “vedova”.
Sono vedova di Pino, mio marito, per lo stato Giuseppe Matano, ucciso dal Covid-19 contratto sul posto di lavoro.
Mio marito era un ispettore di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Carinola.
Ha compiuto 50 anni il 23 febbraio scorso, intubato in un letto di ospedale al centro Covid di Maddaloni, in provincia di Caserta, solo, senza neanche ricevere una telefonata di auguri da me o dai nostri figli.
Perché Pino, dopo essersi recato a lavorare per lo Stato, si è ammalato di Coronavirus ed è morto in pochi giorni.
Mio marito non c’è più.
Ma io voglio raccontare a tutti quello che è successo, voglio che tutti sappiano il dramma assurdo che ha colpito la mia famiglia, che ha ucciso Pino e che, si badi bene, non è una casualità.
Mio marito da quando è iniziata la pandemia non ha mai fatto tamponi nell’istituto penitenziario presso cui lavora.
Non ha mai ricevuto adeguate protezioni dal contagio sul posto di lavoro. Non è stato mai tutelato.
LO STATO LO HA FATTO MORIRE.
Non ho studiato, ho la terza media… ma nella mia semplicità sono andata a vedere le normative che sono state emanate per regolamentare la protezione dal contagio del personale dell’Amministrazione Penitenziaria.
Leggo, leggo e leggo…e trovo solo normative, protocolli, regolamenti a tutela e salvaguardia dei detenuti.
Leggo un Documento redatto dalla Conferenza delle Regioni il 6 agosto 2020 intitolato “Gestione Covid – 19 all’interno degli istituti penitenziari: linee di indirizzo”; non trovo nulla sui dipendenti della Polizia Penitenziaria. Ogni paragrafo fa riferimento ai detenuti, alle condizioni di sovraffollamento, alla fatiscenza dei locali, alle scadenti condizioni che rendono difficoltosa una adeguata disponibilità di spazi per la gestione degli isolamenti. Leggo la parte dedicata allo “scopo” del documento: parla di fornire linee di indirizzo a beneficio della popolazione detenuta. Leggo le linee di indirizzo nello specifico: non parla che di detenuti.
In tutto il documento non leggo un passaggio a chi invece i detenuti li deve gestire 24 ore al giorno, in condizioni di pericolosità, di degrado, condizioni che solo chi lavora nel carcere può conoscere.
Non leggo una riga che regolamenti le tutele da fornire a chi lavora nel carcere, a chi garantisce che i delinquenti (perché di questo stiamo parlando) non organizzino rivolte, non si ammazzino, da soli o tra loro, non commettano reati, non costituiscano pericolo per la comunità che, tranquilla, vive al di fuori delle mura del carcere stesso.
Il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute il 7 aprile ha pubblicato un bollettino. Anche qui solo parole per i detenuti.
Leggo altri articoli… si parla solo di detenuti.
E del personale della Polizia Penitenziaria chi ne parla???
Chi mi spiega come mai nel carcere di Carinola, dove mio marito lavorava, il 6 febbraio 2021 sono risultati positivi contemporaneamente 17 tra agenti e ispettori di Polizia Penitenziaria (di cui uno deceduto 2 giorni dopo, seguito oggi da mio marito), un infermiere ed un operatore sanitario, mentre le centinaia di detenuti sono risultati (a seguito di tamponi effettuati a tappeto) tutti negativi?
Come mai l’Amministrazione Penitenziaria si è precipitata a sottoporre a tampone molecolare l’intera popolazione di detenuti del carcere dopo la scoperta di questo cluster tra agenti?
Ripeto, sono una persona semplice… Ma è evidente che mentre lo Stato si adopera per tutelare i detenuti, non si adopera per tutelare i servitori dello Stato che lavorano nelle carceri e le loro famiglie.
I detenuti… per legge la pena detentiva è finalizzata anche alla riabilitazione del condannato…ma non dimentichiamo che la tutela della loro salute non può costituire per lo Stato priorità rispetto alla tutela di chi lavora nelle carceri, di chi subisce spesso i soprusi dei detenuti, gli sputi, gli insulti, le minacce… di chi, per uno stipendio da fame, lavora affinchè queste persone, dalla accertata pericolosità sociale, non evadano per commettere altri crimini e non ne commettano in carcere a danno di altri.
Adesso lo Stato, quello Stato che tanto si è adoperato e si adopera per garantire dignità ai detenuti dovrà rispondermi. Quali tutele sono state approntate per mio marito? Quali sistemi di protezione non sono stati adeguatamente attuati? Cosa ha fatto per evitare che questo accadesse? E per colpa di chi o cosa mio marito è morto di un virus contratto sul posto di lavoro?
Io ed i miei figli, Luca e Federica, vogliamo, pretendiamo delle risposte!
E lo Stato ce le deve dare.
Non potrò salutare mio marito nel suo ultimo viaggio…il suo contagio è stato anche il nostro, di tutta la famiglia.
Ma non avrò pace finchè lo Stato non risponderà alle mie domande e, se come immagino, le risposte non saranno soddisfacenti, non mi fermerò e chiederò giustizia per l’omicidio (perché questo sarebbe) di mio marito. Barbara Greco