Il Covid-19 blocca la Vampàleria a Gesualdo

Il 30 novembre, a Gesualdo, c’è la tradizione di festeggiare Sant’Andrea. I falò accesi ovunque, con amici, famiglie riunite con l’usuale spaghetto aglio olio e carne arrostita e tanto buono vino rosso locale. Quest’anno il Covid-19 ferma tutto sperando che il prossimo anno si torni alle consuete abitudini.

La tradizione dell’accensione dei Falò nasce dalla devozione verso Sant’Andrea Apostolo, la cui festa cade alle soglie dell’inverno.
Il Culto del Santo si radicò a Gesualdo sul finire del 500 per l’adorazione di una sacra reliquia (il Braccio di Sant’Andrea) donata da Eleonora Gesualdo, badessa del Monastero del Goleto, al fratello Principe Carlo. La preziosa reliquia è incastonata in una piccola scultura rivestita in argento ed è custodita e venerata nella Chiesa Madre di San Nicola.

L’origine del Rito dei Falò.

Con la diffusione del cristianesimo, gli antichi riti pagani di adorazione degli spiriti della natura si trasformarono nel culto verso una figura immateriale da venerare con preghiere ed invocazioni.
Nella cultura cristiana la figura divina di Sant’Andrea Apostolo è definita come il simbolo della luce che scaccia le tenebre esorcizzando la paura del cupo inverno alle porte.
L’accensione dei fuochi lega gli antichi rituali di invocazione degli spiriti della natura contro l’oscurità con la simbologia cristiana nel quale il fuoco rappresenta la purificazione e la consacrazione.
A Gesualdo, la tradizione dei falò nasce nell’800 in occasione di un evento religioso che coinvolse l’intera comunità.
Per la realizzazione di una statua da dedicare a Sant’Andrea si decise il taglio di un grande albero di tiglio posto nell’odierna piazza Umberto I. Estratto Il legno necessario per l’opera il resto venne ammassato su una pila e dato alle fiamme per un grande falò (Vampàleria, in dialetto gesualdino) il 30 di novembre in onore del santo.
Da allora, questo rito si è rinnovato ogni anno, senza mai fermarsi neanche di fronte ai drammi dei vari terremoti o delle guerre, perché insito nell’animo gesualdino e nelle sue credenze.