Il presente dell’attività di governo è segnato dall’incertezza assoluta. Quel che è accaduto nell’ultimo mese potrebbe essere un atto del teatro dell’assurdo. Proviamo a ragionare. Poco più di un anno fa nasceva, sull’onda dello sbandierato cambiamento, il governo gialloverde. Si trattava di un’alleanza poco omogenea, resa possibile dalla condivisione e sottoscrizione del programma, contratto di governo. Viene nominato presidente del consiglio, Giuseppe Conte, fino ad allora un professore universitario e avvocato di discreto successo. I due vice sono gli artefici dell’operazione gialloverde, Luigi di Maio e Matteo Salvini, che si ritagliano i due ministeri rivendicati con forza: il Lavoro a Di Maio, gli Interni a Salvini. Le due priorità governative diventano il reddito di cittadinanza, il contrasto all’arrivo in Italia di migranti. Tra i due vice molti gli apprezzamenti reciproci, la stima ribadita di continuo e, sotto la guida accorta di Conte, il governo gode di discreta salute. All’opposizione il ritornello stantio e ripetitivo, di bartaliana memoria, tutto da rifare, iniziative quelle del governo destinate a impoverire il paese, a far arretrare l’economia, a ridurre il credito internazionale presso gli altri paesi dell’Unione Europea. Sembrava tutto filare liscio. Le tornate elettorali successive alla formazione del governo, fino a quella per il parlamento europeo, hanno ridotto il patrimonio di voti del M5S e incrementato quello della Lega salviniana. Gli italiani hanno poca propensione a rispettare il principio che le comparazioni vanno fatte per grandezze omogenee. Succede così che ad ogni tornata elettorale per le diverse assemblee legislative (comunali, regionali ed altre) si reclama l’aggiustamento o la modifica nel rapporto di forza che i nuovi risultati hanno generato. Pare di assistere alla fabbrica di S. Pietro, in perenne costruzione. Il criterio che dovrebbe ispirare i governanti dovrebbe essere il migliore benessere possibile della comunità nazionale. In verità, pare che oggi il bonum commune sia divenuto come l’araba fenice, che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. La crisi che si sta determinando è una delle più strane e incomprensibili. Il germe del dissidio, della esasperata competizione all’interno della compagine governativa, è rappresentata dalla volontà salviniana di ridurre il peso politico dell’alleato di governo e ritagliarsi fetta di potere più ampia. Le dichiarazioni concilianti lasciano il tempo che trovano. Il problema è che non si capisce come un ministro dell’interno che resta in carica propone la sfiducia al proprio presidente del consiglio. Pretesti ne invoca tanti Salvini, ma nessuno che abbia serio fondamento. Alla manovra, a nostro avviso spericolata, di Salvini, risponderà tra qualche giorno il presidente Conte. Ne sapremo qualcosa di più. Intanto il presidente della repubblica segue con particolare attenzione l’evolversi della situazione e certamente, con lo staff dei suoi più fidati collaboratori, sta pensando alle possibili soluzioni della crisi per ora annunciata, in breve lasso di tempo consumata. Le ipotesi sul campo sono diverse. Alcune troppo cervellotiche, altre poco praticabili. Personalmente, a meno di colpi di scena eclatanti ma poco seri, non crediamo che ci sia spazio per una rinnovata alleanza M5S e Lega; altre soluzioni che rinviino a rapporti nuovi ed inediti tra forze politiche che si sono fatte la guerra nell’ultimo periodo non se ne intravedono. Rimane in piedi l’ipotesi di un Conte bis, con l’appoggio certo del M5S e di forze politiche, o frange di loro, che potrebbero garantire almeno di scongiurare l’aumento dell’IVA, l’approvazione della riduzione del numero dei parlamentari, ed altri provvedimenti di natura economica, utili a tenere lontano lo spauracchio della procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea. Insomma, una crisi al buio, senza certezze di provvedimenti necessari ed utili, non ci voleva proprio. Una lezione è da trarre da simili premesse. Che i cittadini capiscano che governare è una cosa seria, che richiede tempi giusti e che ha bisogno di una classe politica che parli chiaro e più chiaramente operi.
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