I Sant’andreani sono già in fermento per i ”fuoche de Sand’Anduono” del 17 gennaio.
Carriola alla mano, organizzati in gruppo, fanno a gara a chi riesce a procurare più legna dai cittadini del paese. Tutti partecipano in un clima profondamente comunitario. Infatti, quando il fuoco si spegne, la cenere benedetta viene portata nelle case di tutti (ogni catasta viene benedetta dal prete). Tutti danno e tutti ricevono.
Il fuoco di San’Antonio è il nome che viene dato all’Erpes Zooster e Sant’Antonio è anche chiamato il Santo del maiale, in quanto usava il grasso del suino come cura contro la malattia. Per questo l’iconografia spesso lo rappresenta con un maiale o un cinghiale al suo fianco.
Un’antica leggenda sarda unisce l’elemento del fuoco con quello del maiale e vede in Sat’Antonio una sorta di Prometeo.
Si narra che gli uomini, che non conoscevano il fuoco si recarono da Sant’Antonio affinchè li aiutasse. Il Santo acconsentì e decise di prenderne, bastone alla mano, una fiammella all’inferno. Insieme al suo fido maialino scese negli inferi ma Belzebù non poteva far entrare nel suo regno un Santo e non lo fece passare ma il maialino veloce e scaltro, vi si intrufolò facilmente. Dopo poco tempo il Diavolo mandò a chiamare San’Antonio per recuperare l’insopportabile ospite che aveva messo a soqquadro l’intero inferno. Così, il Santo, riuscì a recuperare il fuoco che portò agli uomini con il suo bastone.
Ma la tradizione dei falò affonda le sue radici ancora più lontano, con le feste romane in onore di Cerere, alla quale si sacrificava proprio il maiale. Per invocare la buona stagione e la fertilità dei campi, si accendevano i caldi e luminosi falò che invocavano il sole e riscaldavano le zolle.
Da questa mescolanza di usanze sacre e pagane deriva la tradizione di celebrare il Santo con dei Falò, intorno ai quali si mangia, si balla, si chiacchiera e si fortifica il senso comunitario nei piccoli comuni come quello di Sant’Andrea.