Elezioni, tra ieri e domani! di Nicola Prebenna

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Senza grandi clamori e quasi in religioso silenzio le elezioni si avvicinano. L’impressione che molti hanno è che questa campagna elettorale sia molto diversa da quelle degli ultimi decenni. Trattasi di una prova di conquistata maturità civica o è il segnale forte di una sfiducia senza appello nei confronti di un mondo, di un circuito che si avvertono distanti e poco connessi con il bene comune, per come genericamente inteso? Tutti i fenomeni, specie quelli di massa, non sono mai riconducibili ad una sola e semplice interpretazione, ma ammettono una pluralità di sensi che tocca allo studioso, al commentatore tentare di individuare e di precisare. Ed è quanto ci ripromettiamo di fare in questa riflessione che, pur nella sua necessaria sintesi, pensiamo possa contribuire a comprendere la delicatezza del momento elettorale e le difficoltà del momento storico. La prima constatazione è che la legge elettorale attuale è così arzigogolata e poco comprensibile dal cittadino comune che sicuramente contribuirà a determinare un risultato in parte imprevedibile: era stata concepita per consegnare la palma della vittoria ad uno dei due competitors che, dall’inizio della seconda repubblica, si contendono il successo politico, le coalizioni di centrodestra e di centrosinistra; l’irrompere, però, nel panorama politico del Movimento5stelle con la forza dirompente del nuovo ha scombussolato i piani e scosso i progetti dei soggetti politici tradizionalmente in lotta per la conquista della maggioranza parlamentare. Se alla disaffezione del cittadino alla partecipazione al voto popolare si aggiunge il sospetto che una legge elettorale astrusa non potrà dare utili indicazioni per la formazione del futuro governo, si comprende come si respiri aria di rassegnazione, di fatalismo, e – sotto la cenere – di ribellismo che potrebbe generare a sorpresa risultati inaspettati. Un tempo il momento elettorale era l’occasione per immettere nell’agone e consacrare forze giovani e fresche che, sorrette dalla vivacità dei partiti di cui erano espressione, poggiate su indubbie qualità personali, conquistavano il successo e iniziavano l’esperienza di parlamentari che consentiva loro sia di adoperarsi per la valorizzazione del territorio che di consolidare il proprio potere personale. Oggi, anche se in apparenza possiamo riscontrare candidati giovani, scopriamo che la prima repubblica non è stata affatto superata: sono cambiati i partiti, si sono dissolte le ideologie, la società s’è fatta sempre più liquida, ma sono rimasti a galleggiare gli stessi protagonisti della politica degli ultimi cinquant’anni, divenuti esperti metereologi nell’avvertire per tempo le correnti d’aria più favorevoli, nell’affidare investiture familistiche ai propinqui, nell’esercizio accorto e preciso del potere per sé e per i propri accoliti, con l’unica stella cometa del potere inseguito ad ogni costo e spesso agguantato. In questo contesto, i problemi reali di quelli che si trovano in situazioni di svantaggio si aggravano; i ricchi sono divenuti sempre più ricchi e la fascia dei poveri si è dilatata a dismisura. Le contingenze internazionali, poi, la globalizzazione, il primato delle ragioni dell’economia e della finanza, spingono per soluzioni sempre più complesse e delicate, a volte imprescindibili, ma con conseguenze poco piacevoli per la massa dei cittadini in difficoltà. Non è in una competizione elettorale che si crea un nuovo modello politico da coltivare e definire, ma essa può essere l’occasione per rendersi conto che valga la pena di riaprire una riflessione rinnovata sul senso nuovo da dare ai valori democratici e repubblicani, da riempire di contenuti concreti e da rifondare in una logica di nuovo umanesimo, integrale, che restituisca idealità etica all’impegno politico e lo nobiliti, riscattandolo dalla materialità in cui, a dispetto dei proclami, è confinato. Che fare? In primo luogo occorre andare a votare; il male da sconfiggere è l’assenteismo. Non ha senso fuggire, isolarsi, e gridare allo scandalo. Bisogna avere il coraggio di scegliere, secondo coscienza, anche secondo il proprio legittimo bisogno, non disgiunto da una valutazione complessiva che individui il positivo per il paese Italia, per il meridione, per le zone interne. L’auspicio nostro è che la partecipazione al voto sia consistente, consapevole, così che un governo pienamente legittimato dal consenso popolare possa mettersi, dopo il 4 marzo, al lavoro con serietà. Poi, la partecipazione democratica dovrà escogitare nuove forme, più convincenti, per creare o rivitalizzare i centri di formazione politica, in grado di avvicinare sempre più i cittadini alla classe dirigente, e superare la sfiducia e la separatezza che caratterizzano, in negativo, il presente.