Montefusco (AV) – Dalle sale espositive di Palazzo Paolo V, nella collettiva “Contaminazioni Cromatiche”, alle volte del prezioso chiostro del Convento dei Frati Cappuccini di Sant’Egidio a Montefusco. È l’Arte Materia di Gioseph Izzo che “esplode” nella misticità dei luoghi cari anche a Padre Pio entrando delicatamente con il suo estro in uno degli eventi più antichi della tradizione Irpinia: la Fiera di Sant’Egidio a Montefusco dal 28 al 30 agosto. L’evento, giunto alla 601° edizione è organizzato dall’Amministrazione Comunale di Montefusco con il patrocinio della Regione Campania, la Provincia di Avellino, la Comunità Montana del Partenio e l’Ept di Avellino.
Tra un’iscrizione del 1696, relativa al pagamento del pedaggio ai “passi” e un pregevole crocifisso ligneo tuonano i colori “dirompenti” delle opere dell’artista sannita. C’è un solo modo di comprendere l’arte di Gioseph Izzo: fermarsi per un attimo, smarrire il mormorio dell’effimero quotidiano e farsi attraversare solo da un lento e cadenzato scorrere del Tempo, senza età, mentre la mente ed il cuore si abbandonano ad un valzer antico sempre in movimento quando si interfacciano aria e sangue cercando di dare senso alla Vita mentre nell’Anima si divincolano i tanti perché. Solo a quel punto si può procedere al viaggio: quasi sempre a punta di piedi, possibilmente nudi, avanzando a passo delicato per evitare di “stravolgere” l’ordine del susseguirsi, dell’evolversi, del comporsi, dell’essere e dell’essere stato così come lo interpreta l’artista.
È in quel momento che si inizia a passeggiare nella tela, tra sogni, tormenti, progettualità, valori, desideri che si mescolano tra una consapevolezza ancestrale, virale che la vita stessa nega e rifiuta a chi si sofferma a guardare con entusiasmo, speranza, ottimismo. Eppure, la tela (la vita) la “maltratta”, la viola, la squarcia e poi la ricuce. In alcuni momenti con incedere sistematicamente ritmico e cadenzato cercando di coprire gli strappi, freddi, con materiale più caldo che sappia di vivo, di vissuto, di ricordi come il legno e ancora più sovente il tessuto di canapa usurato dal tempo e dagli uomini. Teli che a sua volta non sono compatti ma traspirano emozioni e sensazioni già invecchiate, trascorse, consumate, logorate dagli eventi. In altre opere la tela lacerata viene lasciata libera di accartocciarsi mentre si procede nell’intento vano di ricucirla disordinatamente e scompostamente sistemarla. In entrambe le “trasgressioni” (violazioni) l’operazione è violenta: l’ago trafigge costantemente e spietatamente la tela ferma, rigida, senza vita che si modella e prende anima dal continuo dimenare del taglierino, dei colori e di pezzi di altre vite. Ogni “trapasso” è un dolore silente che si rivela nell’interruzione della linearità e si nasconde nel vuoto delle lacerazioni che ripropongono antichi sapori e mai sfumati profumi ancora vivi, sempre vivi, più che attuali e parte inscindibile della vita stessa. La tela non piange, non può, ma trasuda sei suoi colori: l’equilibrio tra corpo e mente; la continua ricerca della sicurezza e della stabilità; l’attaccamento alla terra e alla natura.
La ferita nella tela è viva; l’amputazione non rivela il buio ma la luce esplosiva di altre sue opere. L’implosione è evidente: l’aggressività e la passionalità del rosso in contrasto con la spiritualità e la divinità del bianco in alcune opere. In altre, lo slancio vitale del giallo con la sua luce, come il sole che con i suoi raggi elargisce conoscenza, energia, intelletto in euritmia con l’arancio simbolo di creatività artistica e armonia intellettuale comunicate da piccole ma incisive pennellate di azzurro che sembrano irrompere nel complesso del quadro mentre una velata tristezza trapela, quasi a volersi nascondere, dai bordi di esso; quasi ad aver paura di essere cielo. Un fragilità che trapela anche dalla deflagrazione di questi colori che sono Vita, Essenza, Essere perché costantemente ed inevitabilmente interrotti, recisi, troncati nel loro consumarsi e trasbordare sulla tela. Il tutto è fermato da qualcosa che non è loro, un elemento estraneo che mozza l’assetto prestabilito dai miseri ed effimeri limiti umani. La consapevolezza di andare Oltre, attraversare il muro, rompere le catene da senso all’”Intruso” che diventa parte integrante e multiforme, anche se astruso. Il diverso, la novità, il continuo rincorrere l’incomprensibile, per l’imprevedibile, tra armonie imperfette rigorosamente inscindibili perché complementari nell’ordine del caos. Contemplare la vita con le sue innumerevole sfaccettature; l’opposto e il contrario di tutto che diventano armonia: il tepore di un legno che brucia nel freddo inverno e il sole estivo che cerca di rinfrescare. In tutto ciò grande passionalità di intelletto; voracità di crescere e sapere; volare oltre le convenzioni ma nel contempo proteggere tutto ciò che è sacro e da un senso alla vita; riuscire a farsi coinvolgere dal divenire degli eventi e non sconvolgersi. Bramare risposte, tra mulinelli e risucchi, ai tanti perché del Bene e del Male sempre più slegati dall’umana ottusità all’indulgenza dell’Essere Unico.
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