Un centro per l’autismo in Irpinia, un progetto ancora incompleto. La battaglia, sostenuta da Confcooperative Campania, riparte grazie ad un comitato civico
Un invito ad aderire alla manifestazione lo lancia Confcooperative Campania, attraverso il Comitato Territoriale di Avellino, rappresentato dal Presidente Francesco Melillo
Si terrà il 21 luglio, alle 10.30, con appuntamento dinanzi ai cancelli della struttura di Contrada Serroni, ad Avellino, la manifestazione per chiedere l’apertura del Centro di Assistenza Socio-Sanitaria per Soggetti Autistici, bloccata da anni, nonostante le denunce e le battaglie sul territorio, con in testa la associazione e la cooperativa sociale Pianeta Autismo, nella rete di Confcooperative Campania.
“La battaglia per il Centro per l’Autismo in Irpinia riprende grazie alle energie e all’entusiasmo del Comitato Civico La Voce di Valle, che ha organizzato la manifestazione per coinvolgere tutta la società avellinese e non solo. In Irpinia ci sono circa 2000 persone affette da autismo, tra cui molti bambini. Il Centro per l’Autismo non viene terminato per soli tre-quattrocentomila euro ed è inconcepibile, visto lo spreco di denaro pubblico” dice Scipione Pagliara, Presidente della cooperativa Pianeta Autismo che si occupa di tutto quello che può essere utile per le persone affette da autismo e per le loro famiglie, dalla diagnosi, alla riabilitazione, al dopo di noi.
Un invito ad aderire alla manifestazione lo lancia Confcooperative Campania, attraverso il Comitato Territoriale di Avellino, rappresentato dal Presidente Francesco Melillo:
“Istituire in Irpinia un centro di riabilitazione specializzato, evitando così che le famiglie siano costrette a far curare i loro figli e i loro cari lontano, è doveroso. Tanto più che l’apertura è bloccata da una manciata di finanziamenti. Noi saremo accanto alla nostra cooperativa e invitiamo le cooperative e le associazioni del territorio ad aderire alla mobilitazione. Dall’autismo non si guarisce, ma molto si può fare per abilitare le persone che ne sono affette. Vogliamo evitare che alla morte dei genitori questi ragazzi siano inchiodati ad un’esistenza vegetativa, magari chiusi in istituti non specializzati, dove nessuno potrà far nulla per loro”.
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