Nessuno sa con precisione quale sarà il destino del Partito Democratico. E’ evidente che il partito uscito vincitore assoluto alle scorse politiche abbia dovuto affrontare passaggi molto delicati. Lo scontro interno fra renziani e dem è stato sempre molto forte; dopo la fuoruscita di Civati e Fassina, si è fatta sempre più marcata la distanza tra i dem e i renziani. Separati in casa! Il governo, quello di Renzi prima e quello attuale presieduto da Gentiloni, non ha conosciuto agguati e dissociazioni tali da metterne in pericolo la tenuta. Il dibattito, anche aspro sulle questioni affrontate, non ha minato l’operatività del governo. Ma sotto la cenere ha sempre covato il fuoco della delegittimazione, della resa dei conti, della verifica delle forze in campo. In tutti i partiti il dibattito interno è vivo, acceso, talvolta duro e le ragioni delle differenziazioni ora affondano in progettualità diverse, ora in proposte non convergenti, ora ancora in prospettive di potere e di leadership che ciascuno rivendica per sé. Una classe politica di spessore dovrebbe dar prova di saper contemperare le differenti ragioni, da quelle più nobili a quelle più prosaiche, e realizzare sintesi in grado di armonizzare i diversi e motivarli all’impegno comune. I grandi partiti della prima repubblica lo hanno fatto abbastanza egregiamente: la democrazia cristiana ha dato prova di come, manuale Cencelli alla mano, si potessero dosare carichi e incarichi a seconda della corrente di appartenenza. Nel PCI, pur viziato dal centralismo democratico, le posizioni personalistiche, o di gruppi minoritari, se non portate all’esterno, venivano tollerate e nell’universo del mosaico di potere, sia pure minoritario, trovavano collocazione dignitosa. Al presente, la domanda è: possono le diverse anime del PD trovare un momento di sintesi su quale futuro delineare per il paese, su quale società costruire o migliorare per l’economia, per l’occupazione, per la riduzione delle disuguaglianze, per l’occupazione giovanile e non? Insomma, il cittadino comune, anche quello che ha nutrito speranze e simpatie per un partito svincolato dai ceppi ideologici del passato, e che ha mosso passi significativi in avanti sul versante liberale e liberista, come reagisce allo spettacolo in corso, alla bagarre che si profila senza individuare una via d’uscita? Grande disorientamento e sconcerto è la reazione più immediata. Un scissione, minacciata, annunciata, ma ci auguriamo infine sventata, sarebbe una iattura per il paese e l’anticamera del De Profundis per una formazione politica di vitale importanza per il paese, con conseguenze serie per tutti. Certo, devono i diretti interessati essere i protagonisti e gli attori del proprio futuro: l’auspicio è che la stella polare delle scelte da fare sia costituita dal bonum commune, individuato al di sopra degli interessi personali. Il quadro complessivo non è dei più sereni. Se Atene piange, Sparta non ride! Anche gli altri due blocchi in cui si assommano le principali e più consistenti forze politiche, il variegato mondo del centro destra e l’iceberg M5Stelle, del cui disordine romano non è prevedibile l’impatto sull’opinione pubblica, non offrono uno spettacolo migliore. Il sogno è attraversato da incubi: che, dopo gli scossoni della notte, il nuovo mattino dissolva le ombre e ci consegni una realtà più serena.
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