Alcuni fatti recenti, di cronaca mondiale – la politica di Trump sull’immigrazione – e nazionale, meritano attenta riflessione. Ci limitiamo a prendere in conto i primi atti della presidenza Trump e la tragedia che ha segnato profondamente la cittadina di Vasto. Essere coerenti con il messaggio condiviso e annunciato ai cittadini, in una campagna elettorale, può apparire una virtù. In realtà, chi pretende governare deve sì essere in grado di assumersi responsabilità, deve orientare le sue scelte di massima a quanto dichiarato in campagna elettorale. Deve, però, essere guidato dall’attenzione costante alla realtà che richiede aggiustamenti, correzioni di rotta rispetto a quanto prospettato nella bagarre di una competizione elettorale, portata avanti spesso senza esclusione di colpi, anche bassi. E’ questo il caso di Donald Trump, il quale ci pare afflitto dalla sindrome dei tempi lunghi. Non pensiamo che il neo presidente nel corso della sua vita non si sia mai concesso delle pause di riflessione, che abbia ottenuto il successo, anche economico, affrontando d’impeto le situazioni nuove che gli si paravano davanti. Di sicuro, quando aveva deciso di competere per la presidenza USA, si era premurato di incarnare una posizione di contestazione delle scelte del presidente Obama, catalizzando l’attenzione di buona parte della classe media; una volta eletto, si è lasciato prendere dalla frenesia, dall’esasperata voglia del tutto e subito. Ha preteso incarnare il personaggio corpulento e forzuto che sfodera i muscoli, esibisce la forza e si offre al pubblico come l’eroe che, fidando nel proprio braccio di ferro, è pronto a piegare la resistenza di qualsiasi avversario. Un minimo di ricorso alla lezione della storia, maestra di vita, alla saggezza degli aforismi di lunga tradizione, La gatta per la troppa fretta fece i gattini ciechi, avrebbe dovuto e potrebbe ancora suggerirgli di adottare scelte di governo più ponderate e, in fondo, più utili. Essere uno dei protagonisti di primo piano della politica mondiale significa aver maturato la consapevolezza che la diplomazia, l’arte della mediazione, la capacità di dialogo sono armi efficaci e che, anche nell’immediato, producono frutti positivi. L’esibizione della forza non è garanzia di successo. Lo scontro biblico tra Davide e Golia ne è una evidente dimostrazione. Un avvenimento, di proporzioni diverse, ma ugualmente in linea con l’esibizione della forza, del braccio di ferro, è quello che ha visto l’assassinio del giovane Italo ad opera del marito della giovane travolta in un incidente stradale a Vasto. Sulla tragedia che si è abbattuta su quattro famiglie è doveroso che si stenda il velo del rispetto e della pietà. Ciò non ci esime dal dovere di soffermarci su due aspetti che riteniamo importanti. Il primo è che l’assassinio di Italo si colloca nello scenario, almeno apparente, dell’affermazione della legge della forza, del braccio di ferro che ripristinano uno stato di giustizia compromesso o non intravisto. Il ricorso alla forza, alla violenza, al braccio di ferro ostentato e realizzato, è stato avvertito come la riparazione necessaria ad un torto patito. Anche in questo caso l’esibizione del braccio di ferro nasconde una debolezza sostanziale. Il secondo elemento su cui occorre soffermarci è la grande forza d’animo del padre di Italo. Egli, nonostante la sofferenza per la perdita di un figlio, ha mostrato grande forza d’animo, ha dichiarato di perdonare l’assassino del figlio. Nella terribile tragica vicenda che li ha tutti avviluppati, è la prova che la forza genera solo drammi, sia che si tratti di questioni statali che di vicende private. L’esempio del padre di Italo, per la compostezza, per l’equilibrio, per il rispetto di quanti coinvolti nella tragedia, per la forza del perdono dichiarato, merita la massima considerazione e costituisce una lezione per tutti, grandi della terra e semplici cittadini di una realtà periferica della nostra Italia. Il braccio di ferro genera drammi, la pazienza e il perdono sono semi di positività e di bene.
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